Biografia
Sono Adriano Ruzzene sono nato et cresciuto in Francia, precisamente a Villefranche de Lauragais, nell’Alta Garonna, il 27 Novembre 1950 , da genitori trevigiani emigrata là per motivi di lavoro. Sin dall’età scolare sono attratto dall’arte in genere, dai colori, dalla fotografia, poesia, dalla radio (diventa un radioamatore). Ben presto, coltivando l’arte in genere da autodidatta, mi accorgo d’aver bisogno di perfezionarmi ed apprendere le tecniche di base della pittura.
Inizialmente frequento la scuola della prof.ssa Marzia Capelli, dove apprendo diverse tecniche pittoriche, dalla più tradizionali, come l’olio, la tempera, l’acquarello, a quelle con i colori naturali, alla pittura psichica, alla tempera all’ uovo, al carboncino, alle matite colorate, ai gessetti, … et per finire ai corsi di nudo. Fra tutte le varie tecniche prediligo l’acquarello. Diventa assiduo allievo dello studio di Giorgio Favaro, poi frequenta lo studio della nota pittrice acquarellista Giò Ferrante. Inoltre partecipo a diversi “Workshop” della zona di Padova , frequentando corsi d’acquarello del prof. Sergio Bigolin, artista poliedrico di fama mondiale , insegnante presso La Scuola di Grafica di Venezia, con il quale diventa amico. Proprio lui, Sergio Bigolin et Silvia Battistel, mi suggeriscono e mi fanno conoscere la tecnica della “ECO PRINT”, ossia quella della STAMPA ECOLOGICA.
Una tecnica particolare, in uso tanti anni fa, et ripresa da alcune botteghe/laboratori di artisti toscani. Detta tecnica può essere fatta sia su carta, meglio se carta d’acquarello, che su stoffa. Essa consiste nell’imprimere la sagoma delle foglie attraverso dei liquidi mordenti, quali l’allume di rocca sciolta in acqua, l’acqua arrugginita, ecc.... Le foglie, petali di fiori, ecc… vengono posizionate tra i fogli di carta o stoffa, ed il tutto legato con lo spago et messo a bollire per circa due ore. Alla fine si otterrà la stampa delle foglie sulla carta e/o stoffa. Questa tecnica mi ha particolarmente incuriosito, et da circa un anno et più la sto provando con altri ingredienti, ottenendo sempre risultati diversi ed incoraggianti. Dette stampe possono essere usate per fare biglietti augurali, quadri, stampe, quelle su stoffa per fare camicette, gonne da donna, top, ecc…
Amo visitare mostre, dialogare e confrontarmi con altri artisti, osservando et chiedendo spiegazioni sulla loro tecnica in modo da ampliare le mie conoscenze, cercando di mettermi in discussione et possibilmente migliorare la mia. Ho fatto due mostre personali d’acquarello, partecipo a diverse mostre collettive, concorsi, ex tempore nell’ambito della mia zona, ottenendo lusinghieri apprezzamenti ed incoraggianti consensi. Di lui hanno scritto: “… i suoi acquarelli sono acqua che si materializza, … non possiedono la geometria di un minerale, gli oggetti non s’impongono, non c’è la sonorità di una voce, né la solidità di un volto; piuttosto a dominare, se così si può dire, è lo sfumare, il degradare, il confondere la linea che si fa macchia, c’è l’abbracciare, il circondare, il rappresentare nella forma dell’avvolgere et del contenere. E’ un codice dello spirito: alla ricerca della bellezza, le lunghe pennellate dell’artista sono testimonianza, vocazione, ricordo e timida profezia… La sua pittura è estroversa: è uno sguardo verso l’esterno, leggerissimo e intenso: come bolla che esce da una sorgente. Ci viene in mente l’epigrafe nella tomba del poeta inglese Keats, presso la piramide Cestia a Roma: qui giace colui il cui nome è scritto sull’ acqua. Di tanto è capace Adriano Ruzzene: scrivere sull’acqua. “
Recensione 1
Avvincente incontro questo con le poesie e le immagini offerteci dalla raccolta ordinata da Adriano Ruzzene, personalità ricca di vivacità esperienziale e conoscitiva.
Nato in Francia da genitori emigrati per lavoro, rientrato decenne nel paese di origine della famiglia arricchito dall’interazione culturale di entrambi i contesti, le colline della Garonna e la terra trevigiana, l’Autore si è rivelato in prosieguo determinato a coniugare efficacemente la professionalità tecnica maturata nella formazione di studio e nell’occupazione con la tensione umanistica e col richiamo dell’arte avvertiti già dalla giovinezza. Dimostrando, vieppiù negli ultimi anni, tenacia e disponibilità a coltivare attitudini e competenze seguendo un percorso di scoperta e di autorivelazione con atteggiamento di umiltà e di rispetto, declinando insieme interessi e attività elettive (radioamatorialità, fotografia, volontariato) volti all’incontro col prossimo e al vantaggio della comunità.
Adriano Ruzzene scrive per passione (alcune composizioni sono state premiate in significativi concorsi): senza trascurare il dialetto e il racconto (intonato talora al “realismo magico”) predilige la poesia in italiano e in particolare l’Hajku, una delle più semplici e sincere forme della lirica orientale, il cui punto di forza è la brevità, prossima per certi aspetti a quella dell’ermetismo. Pensieri e aforismi nella cui icasticità acquista peso anche il non detto, l’implicito.
Contemporaneamente si dedica alla pittura, sperimentandone le varie forme e tecniche. Approfonditosi nel genere dell’acquarello, crea opere vibranti di atmosfere sospese, connaturate alla sua gamma poetica. E appunto da questa reciprocità interpretativa esperita con entrambi i linguaggi, aspetti dello stesso saper vedere e intendere la realtà secondo un registro linguistico e un codice iconico lievi ed essenziali, nasce la presente raccolta.
Nella quale i sentimenti sono una forza, incentrati, oltre che sull’esperienza di vita, su valori fondanti quali l’ammirazione del creato, l’amicizia e l’amore. Venati talora dalla nostalgia per il transeunte della condizione umana, ma sostanzialmente sorretti da serenità e fiducia. Così da sciogliere l’arduo, e talora inconciliabile, dilemma tra realtà effettuale e slancio ideale, sull’accettazione positiva del quotidiano e sull’apertura al bene, valorizzando, con sentimento prossimo all’animus
pascoliano, la poesia delle “piccole cose”. Poesia pertanto incline a soffermarsi sulla ferialità, a pause di riflessione e di meditazione intese non come mero ripiegamento interiore ma come momento corroborante la priora identità e come viatico per nuovi sentieri da percorrere, secondo la metafora proustiana del viaggio, con nuovi occhi.
Donde gli sguardi peculiari, evocanti le emozioni delle stagioni, la precarietà dell’uomo e la magia della quotidianità, la natura e il paesaggio, il ripiegarsi trepido su intimità, affetti e ricordi non meno che sui disinganni di un’attualità amara e sofferta. Domina peraltro in essi una visione salvifica della bellezza e dell’esistenza intesa come un dono straordinario, da cui scaturisce la presa di coscienza per testimoniarla degnamente. Benché disarmata e sommessa, ma proprio per questo forte e autorevole, dinanzi all’aridità materiale, al degrado ambientale, allo smarrimento sociale, la poesia può ricondurci nel solco della civiltà, della ragione e del dialogo.
La poetica e l’arte di Adriano Ruzzene liberano e ricompongono in circuiti antichi e nuovi pensieri e sensazioni che ci consentono di riconoscere e di condividere la nostra umanità nel rispetto del prossimo, dell’ambiente che ci circonda e della cultura da cui proveniamo, trasmettendo un messaggio di speranza sul mondo e di prossimità verso i nostri simili. Prof. Giuliano Simionato
Recensione 2
La prolifica attività di Adriano Ruzzene coinvolge diversi media, vedendo la pratica pittorica dell’acquerello alternarsi all’elaborazione di brevi componimenti poetici e di haiku.
La sua sensibilità permette di sviluppare una personale “lirica della macchia” partendo dalla trasparenza del colore diluito e deformato dall’acqua. L’acquarello contraddistingue la produzione dell’ultimo ventennio in un’evoluzione informale che tende a dilatare le masse cromatiche riportando l’essenza dell’immagine. Il paesaggio vede una chiara mutazione allontanandosi dalle esperienze più tradizionali legate alla definizione segnica e grafica delle forme. Gli elementi naturalistici, le prospettive delle architetture, i fugaci momenti di luce dei primi anni Duemila si sciolgono in una visione più ampia e profonda. Il punto di vista si allontana e i dettagli svaniscono per lasciare spazio all’orizzonte e all’essenziale separazione tra cielo e terra. Nasce una nuova visione esistenziale, basata sul valore emozionale della macchia acquarellata, capace di esprimere la sintesi tra il soggettivo sentire dell’artista e il mutevole fluire del paesaggio.
Adriano Ruzzene coglie il “sentimento della natura” che emerge dall’intima percezione dello scorrere delle stagioni. Il tempo segna il cambiamento ciclico del paesaggio che diviene metafora della vita umana. Così l’atmosfera dell’autunno, annunciata dall’ultimo sole di agosto, indica la malinconia della maturità; mentre la fioritura della primavera rievoca l’infanzia e lo spensierato giardino della giovinezza. Nella libertà cromatica e formale delle opere più recenti, si leggono i richiami alla produzione poetica. In particolare gli haiku riescono a rendere l’estrema “sintesi figurata” attraverso la forza comunicativa di tre versi capaci di suggerire immediatamente un’immagine. Proprio attraverso la relazione con la parola, si può leggere l’opera di Adriano Ruzzene; così la forma nasce dal verso e la poesia emerge dalla macchia di colore. Tale ricerca di sintesi sembra ancora più stringente nei recenti “Eco Print”, stampe ecologiche su carta attraverso foglie, pigmenti e mordenti, come l’allume di rocca e l’acqua arrugginita.
L’elaborazione si basa sulla combinazione di procedure indirette che rendono imprevedibili i movimenti delle macchie e le alterazioni dei toni. Protagonista assoluta, la foglia subisce un processo di metamorfosi che si sviluppa sulla morbidezza della carta foglio dopo foglio, traccia dopo traccia. Emerge ancora una volta il richiamo alla poesia, in cui la caducità della vita è come una foglia leggera che si distacca dal ramo per “librarsi nell’aria umida come farfalla ...e cadere a terra”.
Prof.ssa Roberta Gubitosi
Recensione 3
AI piedi dei pilastri di una sopraelevata trafficatissima, nella prima periferia di Rio de Janeiro, negli anni 50 del secolo scorso viveva il profeta Gentileza. Era un senzatetto che passava il tempo a vergare versi di pace sui pilastri. Gentileza gera Gentileza (gentilezza genera gentilezza) è il ritornello che si ripete di più. Il camionista, il tassista, il motociclista e chiunque entri ed esca dal cuore della metropoli carioca si imbatte in questo mantra. Ecco, al profeta Gentileza corrisponde, a distanza di mezzo secolo e a decine di migliaia di chilometri di distanza, l’eco di Adriano, poeta veneto del garbo. Un atteggiamento da bimbo curioso (la radice di curioso è la stessa di cura, con una straordinaria prossimità semantica al termine gentilezza) guarda alla vita: è una poetica che proviene da Giovanni Pascoli e passa per Vivian Lamarque. Mi piace immaginare Adriano e il Profeta Gentileza a discutere delle rispettive poesie ai bordi della polverosa Avenida Brasil. Si sarebbero capiti? Certo; italiano e portoghese non avrebbero costituito un ostacolo. Il codice usato sarebbe stato lo stesso: la gentilezza.
C’è gentilezza negli haiku di Adriano, gemma preziosa della raccolta. Non vanno letti in fretta. Fate una pausa. Lasciatevi attraversare dalle parole. Quello che vi apprestate a bere è il Picolit, il più nobile dei vini del Nordest. C’è gentilezza nelle poesie più estese, anche quella in dialetto (Farra di Soligo). In tutte, la natura si riconcilia con l’uomo e lo educa. Poesia nostalgica, direte. No, perché dal paradiso non siamo mai usciti, ci dice Adriano. E infine c’è gentilezza nel suo racconto fantastico. Il giovane protagonista si muove di notte in un ambiente in cui gli animali parlano, ridono, scherzano. È lì che diventa uomo. L’iniziazione avviene attraverso l’innocenza. Insomma, siamo veramente umani, ci direbbe Adriano, non perché abbiamo la ragione (Aristotele ha sbagliato, forse) ma perché recuperiamo il nostro essere semplici.
Fratelli di tutto ciò che ci circonda, siamo – nell’essenza- dei San Francesco e delle Santa
Chiara che non sanno di esserlo. Si tratta di recuperare, alla fin fine, quello
strumento scordato (nel senso di dimenticato, ma anche poco accordato), ci sovviene
Eugenio Montale, che è il cuore.
E, alla fine di tutto, mi viene in mente lui, l’epigono dei poeti
del Novecento: Ungaretti. Cerco un paese innocente, era la chiusa di una
sua poesia. Ebbene, Adriano questo paese lo ha trovato.
Prof Paolo Torresan